Nel 2016 sono state uccise 295 persone trans

Comunicato stampa, Berna, 17 novembre 2016

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Ogni 20 novembre, in occasione del Transgender Day of Remembrance, la comunità trans e i loro amici e amiche ricordano tutte le vittime della violenza transfobica. Dal 1° gennaio 2008 al 30 settembre 2016 hanno perso la vita a causa della loro identità sessuale ben 2’295 persone trans, in quest’anno erano 295. Il numero rappresenta solo la punta dell’iceberg, poiché questi omicidi devono essere registrati dalla polizia locale o dalle organizzazioni in loco come crimini di odio. Ma le cifre grigie delle persone trans uccise per odio sono nettamente superiori.

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Gli opuscoli di Trans-Fair sono online

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Il progetto Trans-Fair, sostenuto finanziariamente dall’Ufficio federale per l’uguaglianza fra donna e uomo, è finalizzato a migliorare la situazione delle persone trans* nel mondo del lavoro, a livello nazionale. Rappresentanti di grandi aziende (Axa Winterthur, Baloise Life Lichtenstein, Credit Suisse, Novartis, La Posta, FFS, Swisscom, Ospedale universitario di Basilea), degli uffici regionali di collocamento, dell’Unione sindacale svizzera, esperti di economia e specialisti nell’ambito della transessualità hanno elaborato soluzioni per facilitare e sostenere il coming out delle persone trans* sul posto di lavoro e nel processo di candidatura.

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Un anno presso la segreteria di TGNS

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Il mio primo anno presso la segreteria di Transgender Network Switzerland è proprio volato. Sebbene all’inizio sia stato difficile prevedere la mole di lavoro e definire il grado di occupazione, mi sono inserita rapidamente nelle attività quotidiane della segreteria. Devo confessare che non mi rimaneva molto altro da fare, poiché in segreteria avevano urgentemente bisogno di qualcuno. I lavori pendenti erano una montagna, ma più passavano le settimane, più questa mole diminuiva. Nei primi tempi il mio punto di forza è stata la flessibilità, un po’ a scapito delle mie competenze interdisciplinari e della mia formazione in scienze umanistiche.

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Insieme un obiettivo: autodeterminazione

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«Insieme un obiettivo: autodeterminazione», questo è il nuovo motto di TGNS. Questa è infatti la libertà che viene spesso negata alle persone trans: autodeterminazione per quanto concerne il modello non binario uomo-donna, autodeterminazione per come si deve svolgere una transizione, autodeterminazione per le misure mediche, autodeterminazione in occasione del cambiamento di nome o dello stato civile, e via dicendo.

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Nostro 300° membro: Mattia!

Mattia

Di origine ticinese, ho 38 anni e abito a Ginevra, dove lavoro nell’ambito delle assicurazioni sociali. Ho studiato scienze politiche e sto seguendo attualmente una formazione universitaria a distanza in diritto.

Sono molto interessato alle questioni relative all’identità di genere, ragion per cui ho voluto aderire alla vostra associazione.

Appassionato di natura, viaggi e buona cucina, m’interrogo spesso sulla nostra società e sui ruoli predefiniti, quali il sistema binario uomo-donna, che ci sono imposti.

Il comitato di TGNS dà il benarrivato a nostro 300° membro Mattia!

Vite in transizione

Un film di Katia Ranzanici

“Si chiama Jelmer, ha 12 anni e fa la prima media. E’ un ragazzino simpatico sveglio, intelligente ma con una particolarità: è nato femmina. Jelmer è un transgender e come lui lo sono anche Luca, Nash, Renée e Nik. Li abbiamo incontrati e ci hanno raccontato cosa significa essere un uomo o una donna trans*, identificarsi cioè nel sesso opposto a quello biologico. Ci hanno detto quali sono le difficoltà legate al percorso di transizione, i problemi relazionali, sociali e anche legali originati dai documenti discordi. Ma ci hanno parlato anche di disagio, violenza, discriminazioni, insulti, mobbing che vivono quotidianamente a causa della loro “diversità”, perché in Svizzera non esistono norme a tutela delle persone trans*.

Falò per la prima volta entra nel mondo della transessualità attraverso un documentario inchiesta e con la testimonianza in studio delle dottoressa transgender Laura Armani che ha vissuto sulla propria pelle queste discriminazioni.”

Link

Vite divergenti – Storie di un Altro Genere

Il Movimento Identità Transsessuale (MIT) di Bologna è orgoglioso di presentare “Vite Divergenti – Storie di un Altro Gendere” (LINK), un progetto realizzato in collaborazione con Discovery – RealTime.

“Vite Divergenti: storie di un altro genere” è uno sguardo sulla realtà trans italiana. Un racconto corale fatto dalle voci e dai volti di 14 persone che attraversano l’identità transessuale e transgender ognuna a modo proprio. Emozionanti, divertenti, commoventi: sono le storie di queste persone che ci faranno scoprire le tante sfumature dell’identità di genere. Non esiste un solo mondo trans, ma ce ne sono tanti. Vite Divergenti inizia a raccontarli.”

Vedete di più

Il MIT è un’associazione ONLUS attiva a Bologna da circa 20 anni, che offre importanti servizi alla persona: difende e tutela i diritti umani, realizza e promuove cultura e informazione

IN EUROPA LE PERSONE TRANSGENDER SUBISCONO DISCRIMINAZIONE

(Aprile 2014, da Amnesty International)

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“Naturalmente, vi sono persone transgender che intendono usufruire dei trattamenti medici disponibili, ma molti altri non vogliono. Gli stati non dovrebbero forzare le scelte delle persone transgender facendo dipendere il riconoscimento legale della loro identità di genere da interventi chirurgici, trattamenti ormonali o sterilizzazioni” – ha dichiarato Marco Perolini, esperto di Amnesty International in materia di discriminazione. “Molte persone transgender devono superare enormi ostacoli prima di conciliarsi con la loro identità e i problemi aumentano a causa di una manifesta discriminazione di stato”.

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Transgender, “Costringerli a farsi operare per cambiare identità sui documenti viola i loro diritti”

Il rapporto di Amnesty International prende in esame la situazione in sette paesi europei: Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Norvegia e Irlanda dove una persona transgender deve sottoporsi a “verifiche” prima di poter cambiare i propri documenti: Interventi chirurgici, cure con ormoni, esami psichiatrici: lo Stato deve certificare che è in corso una malattia. Situazione che si riscontra anche in Italia.

di CINZIA GUBBINI

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ROMA – “Gli Stati non dovrebbero costringere un transgender a sottoporsi a interventi chirurgici o medici per poter cambiare il proprio documento di identità: si tratta di una palese violazione dei diritti umani”. Lo denuncia Amnesty International, che ha presentato il Rapporto “Lo Stato decide chi sono: la mancanza di riconoscimento legale per le persone transgender in Europa“. Il Rapporto prende in esame la situazione in sette paesi europei: Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Norvegia e Irlanda. In tutti questi paesi una persona transgender deve sottoporsi a una serie di “verifiche” prima di poter cambiare i propri documenti. Interventi chirurgici, cure con ormoni, esami psichiatrici: il corpo deve trasformarsi e lo Stato deve certificare che una malattia è in corso per poter ottenere non solo il cambio di genere sui documenti, ma anche solo il cambio di nome. Una situazione che si riscontra anche in Italia.

Sotto ai ferri. “Nonostante il Belgio, la Danimarca, o la Norvegia siano considerati campioni dell’egualitarismo, non è così quando si parla di transgender”, si legge nel Rapporto dell’organizzazione che difende i diritti umani. “I transgender devono rimuovere i propri organi riproduttivi per poter cambiare identità, andando incontro a una sterilizzazione permanente”. Ma non solo: nei paesi Scandinavi (Norvegia, Danimarca e Finlandia) la possibilità di sottoporsi a questo trattamento è legata ad una diagnosi psichiatrica: la persona che vuole cambiare sesso deve risultare affetta da “disordine dell’identità di genere“, una patologia riconosciuta dall’Organizzazione mondiale della Sanità. “In pratica – dice il Rapporto – per poter ottenere un cambiamento di identità occorre che sia certificata una malattia mentale”.

L’esempio della Francia.
In alcuni paesi, come la Francia, non esiste una legge specifica, ma una “prassi” dettata da alcune sentenze di tribunale che sono state pronunciate negli anni. Così, di fatto, un transgender in Francia per poter cambiare il proprio documento di identità deve sottoporsi a una verifica psichiatrica (che può durare anche due anni) e quindi accedere a un trattamento ormonale o chirurgico. Solo a quel punto parte la possibilità di ottenere un riconoscimento legale. E la decisione della Corte può essere diversa da Lille a Parigi: esistono dei transessuali che in Francia hanno ottenuto il cambio di documento senza dover rimuovere i propri organi genitali e altri per i quali invece è stato sufficiente essere stati riconosciuti affetti da “disordine dell’identità di genere”.

E in Irlanda…Ancora diversa la situazione in Irlanda, dove non esiste ancora una legislazione specifica e il parlamento sta studiando una legge in merito. Al momento è abbastanza semplice ottenere il cambio del proprio nome, scegliendone uno “neutrale”, sulla propria carta di identità. Una legge del 2008 sui passaporti ha invece specificato che per ottenere un cambio di identità su questo documento sono necessarie “evidenze mediche” che attestino il cambio di genere.

Il rischio di discriminazioni. Storie complicate. Amnesty International mette in evidenza come sia fondamentale per poter godere dei propri diritti avere una identità legale che rispecchi la propria personalità: “I transgender rischiano di andare incontro a discriminazioni ogni qual volta esibiscono i documenti – ha dichiarato Marco Perolini, di Amnesty International – Gli Stati devono assicurare che le persone transgender possano ottenere il riconoscimento legale della loro identità di genere attraverso una procedura veloce, accessibile e trasparente nel rispetto di ciò che la singola persona sente rispetto alla sua identità di genere, proteggendo il diritto alla riservatezza ed evitando d’imporre requisiti obbligatori che violino i diritti umani”.

I “non sense” in cui si è costretti a vivere. Nel Rapporto vengono raccontate storie che rendono evidente i “non sense” in cui sono costretti a vivere i transgender. Come quella di Joshua: nato negli Stati Uniti, ora vive in Danimarca con i figli avuti da un precedente matrimonio negli Usa e l’attuale moglie danese. Sebbene negli Stati Uniti sia legalmente riconosciuto come uomo, in Danimarca risulta ancora registrato come donna. Eefje invece vive in Belgio e ha 25 anni. Sta per diventare una donna, sottoponendosi a una operazione chirurgica che finalmente le consentirà di ottenere anche un documento consono. Ai ricercatori di Amnesty ha raccontato l’enorme imbarazzo provato sul luogo di lavoro: “Ho frequentato un corso per diventare assistente cuoco. Alla fine del corso dovevo completare un tirocinio e mi è stato chiesto di presentare la domanda usando il nome e il genere legali. Questa cosa ha avuto su di me un grande impatto psicologico perché durante il corso mi hanno sempre dato ordini chiamandomi con il nome maschile. Alla fine del tirocinio, il direttore mi ha detto che avrebbe potuto assumermi ma che altri colleghi si erano detti contrari perché ero transgender”.

In Italia. In Italia la situazione non è molto differente. Anche nel nostro paese per poter cambiare sia il nome che il genere sul proprio documento di identità bisogna prima sottoporsi a un intervento chirurgico di cambio sesso. Il Mit, Movimento Identità Transessuale, è impegnato in una battaglia perché sia cambiata la legge 164 del 1982. Esiste una proposta di legge delle Rete Lenford (www.repubblica.it/solidarieta) e sono diverse le cause aperte davanti ai tribunali italiani per permettere ai transgender di cambiare almeno il nome sui documenti senza dover cambiare sesso chirurgicamente.

Origine: La Repubblica